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fuoco

MINOTAURO

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CANTO XII, VERSI 1-27

Era lo loco ov’a scender la riva 
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco, 
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva. 
 
Qual è quella ruina che nel fianco  
di qua da Trento l’Adice percosse,  
o per tremoto o per sostegno manco,
 
che da cima del monte, onde si mosse,  
al piano è sì la roccia discoscesa,  
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
 
cotal di quel burrato era la scesa;  
e ’n su la punta de la rotta lacca  
l’infamia di Creti era distesa
 
che fu concetta ne la falsa vacca;  
e quando vide noi, sé stesso morse,  
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.

 
Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse  
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,  
che sù nel mondo la morte ti porse?
 
Pàrtiti, bestia: ché questi non vene  
ammaestrato da la tua sorella,  
ma vassi per veder le vostre pene».

 
Qual è quel toro che si slaccia in quella  
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,  
che gir non sa, ma qua e là saltella,
 
vid’io lo Minotauro far cotale;  
e quello accorto gridò: «Corri al varco:  
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale». 

PARAFRASI

Il luogo dove giungemmo per scendere al Cerchio successivo era impervio, e, anche per ciò che vi era (il Minotauro), tale che nessuno vorrebbe vederlo. 


Come quella frana che colpì il letto dell'Adige a sud di Trento, per un terremoto o per mancanza di sostegno, tale che dalla cima del monte da cui si mosse fino alla pianura la roccia è sì dirupata, ma darebbe accesso a qualcuno che scendesse dall'alto: così era la discesa di quel burrone infernale; e proprio all'inizio del dirupo era distesa la vergogna di Creta, che fu concepita nella finta vacca; e quando (il Minotauro) ci vide, si morse come colui che è sopraffatto dall'ira. 


Il mio maestro gridò verso di lui: «Forse credi che qui ci sia il duca d'Atene (Teseo), che nel mondo ti procurò la morte? Vattene via, bestia: infatti costui non viene seguendo le istruzioni di tua sorella (Arianna), ma va a vedere le vostre pene». 


Come il toro che si libera dai lacci nel momento in cui ha ricevuto il colpo mortale, e non riesce a camminare ma barcolla qua e là, così vidi che faceva il Minotauro; e il saggio Virgilio gridò: «Corri al passaggio: è bene che tu scenda, mentre il mostro è in preda alla furia». 

INFORMAZIONI

CANTO XII

 

Nel XII canto dell’Inferno dantesco viene descritto nel VII Cerchio l’incontro di Dante con il Minotauro. A questo cerchio si accede superando i resti di una frana causata dal terremoto che scosse la terra alla morte di Gesù Cristo. Questo passaggio funge da separatore tra la parte superiore dell'Inferno e quella inferiore.

 

Il custode di questo cerchio è il Minotauro che rappresenta la violenza che rende l'uomo simile a bestie e sorveglia le anime dei violenti, divisi in tre gironi. Nel primo girone, quello in cui si parla del Minotauro, sono puniti i violenti contro il prossimo. 

 

I violenti sono immersi, più o meno a seconda della colpa, nel Flegetonte, un maleodorante fiume di sangue bollente. Se tentano di scappare o emergere dal sangue più di quanto stabilito dalla pena, vengono prontamente colpiti da saette per mano dei Centauri.

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IL MOSTRO

 

Dante considera il Minotauro simbolo della violenza per eccellenza, poiché in lui convivono natura umana e bestiale. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che nel Medioevo (quindi anche nell’epoca di Dante) venisse rappresentato con corpo taurino e testa umana, ma è quasi certo che Dante lo immaginasse secondo l'iconografia classica, ovvero con corpo umano e testa di toro.

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